Accade
spesso di recitare una preghiera o di partecipare ad una celebrazione religiosa
senza interrogarci sul profondo significato di quanto stiamo compiendo. Le
nostre azioni avvengono dunque, in adesione ad una tradizione che ci è stata tramandata e che sentiamo ormai radicata nel
nostro essere, anche se non ne abbiamo mai indagato il perché, il complesso
significato. Questo atteggiamento, anche se positivo,
esige in tempi come i nostri, una più autentica consapevolezza che è poi
l’unica possibilità per comunicare, in modo credibile, il senso dell’essere
cristiani. Durante la Quaresima, tempo di preparazione alla grande
solennità della Pasqua, sono più frequenti, rispetto al resto dell’anno, i
momenti di partecipazione alle celebrazioni religiose delle quali spesso,
conosciamo solo il rito. Una pratica devozionale
molto seguita proprio in Quaresima è quella delle Quarantore. Nella comunità
cristiana, fin dall’antichità, è progressivamente cresciuto il bisogno di
praticare una particolare devozione verso le “sacre specie”, che mantengono
intatta la presenza sacramentale di Cristo, anche dopo la celebrazione
eucaristica. La conservazione delle “sacre specie”, nata dall’esigenza di
portare l’Eucarestia ai malati, ha dunque alimentato nei fedeli forme di adorazione che si attuano
nell’esposizione, nella benedizione con il Santissimo Sacramento, nelle
processioni eucaristiche. Le Quarantore, che sono appunto una delle forme di adorazione del Santissimo Sacramento, sono così chiamate,
secondo quanto scrive Sant’Agostino, in ricordo del
tempo trascorso da Cristo nel sepolcro. Questa devozione praticata fin dal 1214
dai Battuti di Zara e poi dai Francescani del Terz’ordine
regolare negli ultimi tre giorni della Quaresima, venne in
seguito estesa a vari momenti dell’anno. Il Papa Urbano VIII, nel 1623,
impose infine a tutte le chiese, in particolare a quelle parrocchiali, le celebrazione delle Quarantore. È questa una tradizione in
prevalenza italiana diffusa largamente da Antonio Maria Zaccaria, fondatore dei
Barnabiti. A Foligno la pratica delle Quarantore venne
fatta conoscere soprattutto dal servo di
Dio Giovanni Battista Vitelli, amico di San Filippo Neri che, nell’oratorio del
Buon Gesù, da lui fondato nella prima metà del
Seicento sull’esempio di quello romano, si dedicava all’educazione religiosa
dei giovani, anche attraverso l’adorazione eucaristica. Con il passare del tempo il rito, protratto anche nelle ore notturne, rimase
solamente a Roma; altrove prevalse l’uso di esporre il Santissimo dalla mattina
alla sera, per tre giorni continui, a turno in tutte le parrocchie delle varie
diocesi. Ancora oggi si mantiene in questa forma e viene
attuata in genere durante tutta la Quaresima. Anche nell’area montana del
territorio folignate, tale devozione è stata sempre profondamente
sentita ed ha mantenuto ancora oggi inalterata
l’assidua presenza della popolazione. In particolare a Scopoli
le Quarantore vengono osservate come momento di
preparazione alla Quaresima e quindi nei giorni immediatamente precedenti il
suo inizio. Secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II, si tende a
collegare strettamente questa pratica devozionale al
sacrificio eucaristico che si compie nella celebrazione della Messa. Le
Quarantore sono dunque una occasione privilegiata per
un cammino di Fede da vivere nel periodo quaresimale in tutta la sua intima ed
elevata bellezza.
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